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I canali di pensionamento nel 2022: età, requisiti, casi particolari

Il nostro sistema previdenziale è in continuo divenire tra interventi normativi e propositi di riforma più o meno di portata strutturale. Il 2022 appare in questa prospettiva come un anno di transizione con una serie di novità apportate dalla legge di Bilancio 2022 con orizzonte temporale di limitata durata e un tavolo di concertazione già avviato per delineare un nuovo intervento di riordino. Può essere allora utile delineare, in attesa dei futuri assetti, quale sia la mappa dei principali canali di pensionamento per l’anno in corso.


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Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (RITA)

La RITA è una prestazione previdenziale (strutturale) dalle grandi potenzialità. Ai lavoratori (inclusi i dipendenti pubblici) che abbiano aderito a una forma di previdenza complementare a contribuzione definita consente di ricevere una rendita frazionata della posizione individuale fino al conseguimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia. E con un regime fiscale di particolare favore. Al datore di lavoro offre un duplice vantaggio: può essere utilizzato nell’ambito dei processi di turnover aziendale o per gestire eventuali esuberi e consente di ridurre la tassazione sul reddito d’impresa.

Quali sono i requisiti per richiederla?

Sono legittimati a richiedere la RITA i lavoratori che abbiano cessato l’attività lavorativa e a cui manchino non più di 5 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia purché siano in possesso di un requisito contributivo di almeno 20 anni nei regimi obbligatori di appartenenza e i lavoratori disoccupati da più di 24 mesi cui manchino non più di 10 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza. Per entrambe le casistiche è necessario avere il requisito di 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare.

Quale è il meccanismo di funzionamento?

Si tratta di un riscatto frazionato, per il periodo individuato (massimo 5 o 10 anni a seconda della fattispecie), del montante accumulato. La prestazione viene percepita dal momento dell’accettazione della richiesta fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia. Va ancora ricordato come si prevede la gestione attiva da parte del fondo pensione (salvo diversa volontà dell’iscritto va nel comparto più prudente) della posizione individuale accumulata anche nel corso di erogazione della prestazione, così da poter beneficiare anche dei relativi rendimenti.

Agevolazioni fiscali

Di particolare favore è poi il regime fiscale della RITA per cui si prevede un significativo profilo agevolativo. Per quel che riguarda l’aliquota, infatti, la RITA subirà un prelievo fiscale consistente in una ritenuta a titolo d’imposta (senza ulteriore applicazione di addizionali reginali o comunali) con l’aliquota del 15 per cento, con una riduzione dello 0,3 per cento per ogni anno eccedente il 15° anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione del 6 per cento.
Vi è in ogni modo la possibilità per l’assicurato che richieda la RITA di optare per l’applicazione integrale della tassazione ordinaria attraverso la propria dichiarazione dei redditi.

Vantaggi per l’azienda

Ponendosi sul versante datoriale è opportuno ricordare, così come sottolinea il Mefop in un interessante approfondimento, come il D.Lgs. 252/05 riconosce alcune significative misure compensative in proporzione al flusso di TFR che non resta nelle disponibilità del datore di lavoro.
Il riferimento particolare è:
– alla deducibilità dal reddito di impresa di una parte del TFR che non resta in azienda,
– alla eliminazione del contributo al Fondo di garanzia del TFR presso INPS,
– alla riduzione dei c.d. oneri impropri.

Deducibilità dal reddito di impresa

Partendo dal primo profilo va evidenziato come sul TFR che esce dall’azienda il datore gode di una maggiore deducibilità fiscale. È infatti possibile dedurre dal reddito di impresa il 4% del Tfr per le imprese con almeno 50 addetti. Se l’azienda ha meno di 50 addetti la deducibilità sale al 6%, ma solo sul Tfr versato nel fondo pensione (non essendo l’azienda interessata dal fondo tesoreria). La misura non porta benefici se l’azienda non produce utili ai fini fiscali.

Contributo al Fondo di garanzia

L’azienda è poi esentata dal versamento del contributo al fondo di garanzia del TFR presso l’INPS.
Il risparmio per il datore è pari allo 0,20% del monte retributivo (in proporzione al Tfr versato al fondo pensione o al fondo Tesoreria).
Qualora l’impresa sia in utile, una parte del beneficio, incrementando gli utili, è ridotto dall’imposizione sul reddito d’impresa, prosegue il Mefop.

Riduzione dei cosiddetti oneri impropri

Infine, l’azienda ha una riduzione dei cosiddetti oneri impropri, ossia costi sul lavoro relativi a contributi al fondo per la disoccupazione o per la maternità e simili. Tale misura è entrata a regime nel 2014 con un impatto dello 0,28% sul monte retributivo (in proporzione al TFR versato al fondo pensione o al fondo Tesoreria). Inoltre, il datore di lavoro che viene privato del TFR non è più tenuto a riconoscerne la rivalutazione (1,5% + 75% dell’inflazione) e a pagare la relativa imposta sostitutiva.

 

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Requisiti pensionistici per il 2020

L’INPS, con la circolare n. 19 del 2020, aggiorna i requisiti minimi di riferimento richiesti per l’accesso alle varie forme di pensionamento attualmente in vigore.

Pensione di vecchiaia

Il requisito per la pensione di vecchiaia per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, alle forme sostitutive ed esclusive della medesima e alla Gestione separata è pari a 67 anni. I lavoratori dipendenti, iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, alle forme sostitutive ed esclusive della medesima e alla Gestione separata, che abbiano svolto una o più delle attività considerate gravose o che siano stati addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, per il periodo previsto dalla legge, e che siano in possesso di un’anzianità contributiva pari ad almeno 30 anni, il requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia è fissato, anche per il biennio 2021/2022, al raggiungimento dei 66 anni e 7 mesi.
A decorrere dal 1° gennaio 2021, nei confronti di coloro che raggiungano il limite di età previsto in relazione alla qualifica o grado di appartenenza e non abbiano a tale data già maturato i requisiti previsti per la pensione di anzianità, il requisito anagrafico non è ulteriormente incrementato rispetto a quello previsto per il biennio 2019/2020.

Pensione anticipata

Introdotta dalla riforma Monti-Fornero, si può – semplificando – definire come quella prestazione previdenziale cui è possibile accedere non raggiungendo una certa età, bensì perfezionando un requisito di natura contributiva. Questo significa che diventa appunto possibile andare in pensione prima dei 67 anni richiesti dalla pensione di vecchiaia (da qui, il nome di “anticipata”), a condizione di aver accumulato un certo numero di contributi.
A differenza di quanto non accada con la pensione di vecchiaia, persiste dunque in questo caso una differenza nei requisiti tra i due sessi.
Il requisito per la pensione anticipata è 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, fino al 31 dicembre 2026. Il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico anticipato si perfeziona trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei predetti requisiti.
Per i soggetti il cui primo accredito contributivo decorre dal 1° gennaio 1996, il requisito anagrafico si perfeziona anche per il biennio 2021/2022 al raggiungimento dei 64 anni.

Lavoratori precoci

Il requisito per il conseguimento della pensione di anzianità con il sistema delle c.d. “quote”, anche per il biennio 2021-2022, resta fissato ad almeno 35 anni e di un’età anagrafica minima di 62 anni, fermo restando il raggiungimento di quota 98, se lavoratori dipendenti pubblici e privati, ovvero di un’età anagrafica minima di 63 anni, fermo restando il raggiungimento di quota 99, se lavoratori autonomi iscritti all’INPS.

Pensione di anzianità

La pensione di anzianità così come intesa in passato (35 anni di contributi e requisito anagrafico in ultimo pari a 62 anni o 40 anni di contributi) non esiste più: pensata in origine per permettere al lavoratore che avesse raggiunto una determinata anzianità contributiva di andare in pensione a prescindere dall’età, è stata infatti dapprima modificata nel 2004 mediante l’introduzione di requisiti aggiuntivi rispetto a quello contributivo e quindi del tutto “pensionata” dalla riforma Monti-Fornero che l’ha nella pratica sostituita con la pensione anticipata, che consente comunque al lavoratore di andare in pensione prima della soglia anagrafica prevista dalla pensione di vecchiaia a fronte di un certo numero di contributi.

Mediante appositi provvedimenti legislativi sono stati comunque “salvaguardati” alcuni assicurati che, ritenuti nella posizione di dover comunque essere tutelati dal sistema previdenziale, hanno potuto in via eccezionale conservare l’accesso alla pensione con le regole ante Fornero.

A decorrere dal 1° gennaio 2021 l’accesso alla pensione di anzianità avviene con i seguenti requisiti:
1) raggiungimento di un’anzianità contributiva di 41 anni, indipendentemente dall’età;
2) raggiungimento della massima anzianità contributiva corrispondente all’aliquota dell’80%, a condizione che essa sia stata raggiunta entro il 31 dicembre 2011, ed in presenza di un’età anagrafica di almeno 54 anni;
3) raggiungimento di un’anzianità contributiva non inferiore a 35 anni e con un’età anagrafica di almeno 58 anni.
Clicca qui per leggere il testo integrale della circolare INPS 19 del 07.02.2020