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2 ANNI DI PROROGA PER GLI ACCERTAMENTI IN SCADENZA IL 31.12.2020

Asimmetrie a tutto spiano – e, manco a dirlo, a netto favore del fisco – quanto ai termini di sospensione delle attività degli uffici degli enti impositori, di cui all’art. 67 del D.L. n. 18/2020, e quelli processuali riservati ai contribuenti dall’art. 83.

L’art. 67 appena citato prevede, al comma 1, che “sono sospesi dall’8 marzo al 31 maggio 2020 i termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori”.
La norma si rivolge ai soli enti impositori e i contribuenti al più, potranno beneficiarne soltanto in veste “passiva”: nella loro veste “attiva” per i contribuenti trovava applicazione il D.L. n. 11/2020 che ha disposto, all’articolo 1, la sospensione dei termini nei procedimenti civili, penali, tributari e militari, sino al prossimo 22 marzo.
Disposizione, quest’ultima, che di fatto è stata esautorata dall’art. 83 del nuovo decreto, il quale al comma 2 dispone che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo. Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto. Si intendono altresì sospesi, per la stessa durata indicata nel primo periodo, i termini per la notifica del ricorso in primo grado innanzi alle Commissioni tributarie e il termine di cui all’articolo 17-bis, comma 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546.”

Facciamo un esempio

Ipotizziamo una scadenza processuale prevista per il prossimo 18 aprile e verifichiamo gli effetti per le parti in causa.
Se a detta data scade il termine per l’Ufficio per notificare un ricorso in appello, l’adempimento potrà essere effettuato il prossimo 1° giugno: diversamente, se la data del 18 aprile rappresenta il termine ultimo per il contribuente per la notifica di un ricorso avverso un atto impositivo, la sospensione non è destinata ad operare e l’atto di opposizione va presentato al fine di evitare la definitività dell’accertamento.

Disparità fisco-contribuenti

L’asimmetria è lampante e sanabile soltanto con un apposito intervento in sede di conversione del decreto.
Non può risultare di alcun beneficio la previsione del comma 1 dell’art. 62, disciplinante la “sospensione dei termini degli adempimenti e dei versamenti fiscali o contributivi”, atteso che questa disposizione recita che “per i soggetti che hanno il domicilio fiscale, la sede legale o la sede operativa nel territorio dello Stato sono sospesi gli adempimenti tributari diversi dai versamenti e diversi dall’effettuazione delle ritenute alla fonte e delle trattenute relative all’addizionale regionale e comunale, che scadono nel periodo compreso tra l’8 marzo 2020 e il 31 maggio 2020”.
Ma appare alquanto problematico inquadrare la notifica di un atto processuale tra gli “adempimenti tributari” e, tra l’altro, a rendere ancora più vacillante la tesi contribuisce il comma 6 del medesimo articolo che recita come “gli adempimenti sospesi ai sensi del comma 1 sono effettuati entro il 30 giugno 2020 senza applicazione di sanzioni”, il quale mal si accorda ad una fattispecie processuale.
Al danno si aggiunge anche la beffa dell’applicazione dell’art. 12, D.Lgs. n. 159/2015, che viene appositamente invocato dal comma 4 dell’art. 67 per rendere applicabile il differimento di un biennio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice relativamente al periodo d’imposta 2015.
Questa disposizione prevede “a regime”, al comma 2, che “i termini di prescrizione e decadenza relativi all’attività degli uffici degli enti impositori, degli enti previdenziali e assistenziali e degli agenti della riscossione aventi sede nei territori dei Comuni colpiti dagli eventi eccezionali, ovvero aventi sede nei territori di Comuni diversi ma riguardanti debitori aventi domicilio fiscale o sede operativa nei territori di Comuni colpiti da eventi eccezionali e per i quali è stata disposta la sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari, che scadono entro il 31 dicembre dell’anno o degli anni durante i quali si verifica la sospensione, sono prorogati, in deroga alle disposizioni dell’articolo 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, fino al 31 dicembre del secondo anno successivo alla fine del periodo di sospensione”, e stante la circostanza che per effetto dell’art. 1, comma 1, D.P.C.M. 9 marzo scorso di fatto si è venuta a determinare l’eccezionalità dell’evento per tutti i Comuni italiani, il periodo d’imposta 2015 potrà essere accertato, per qualsiasi contribuente residente, entro il 31 dicembre 2022.
Anche se, a ben vedere, proprio nell’art. 12 in commento si cela la previsione idonea a “pareggiare” la sospensione dei termini tra fisco e contribuenti, atteso che il comma 1 recita: “Le disposizioni in materia di sospensione dei termini di versamento dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, a favore dei soggetti interessati da eventi eccezionali, comportano altresì, per un corrispondente periodo di tempo, relativamente alle stesse entrate, la sospensione dei termini previsti per gli adempimenti anche processuali […]”.
Si potrebbe obiettare che l’art. 12 viene richiamato dal comma 4 dell’art. 67 esclusivamente “con riferimento ai termini di prescrizione e decadenza relativi all’attività degli uffici degli enti impositori”, e quindi in funzione del solo comma 2 – differimento termini di accertamento – e non anche del comma 1 – differimento dei termini per i soggetti interessati da aventi eccezionali.
Ma va considerato che la disposizione potenzialmente controversa è, come detto, una norma “a regime” e, soprattutto, che in un momento quale quello che tutti indistintamente viviamo, un’esegesi del genere sarebbe davvero impresentabile.

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Accesso domiciliare ai fini fiscali

L’inutilizzabilità dei dati acquisiti in “luoghi adibiti ad abitazione” o “di pertinenza di terzi” rispetto al contribuente verificato, trova una deroga per le prove solo occasionalmente reperite in tale sede.

In una quanto mai singolare pronuncia, i Giudici di Piazza Cavour (Cass. Civ. Sez. V, ordinanza 15.01.2020, n. 612) sanciscono che l’inutilizzabilità di prove acquisite mediante accesso domiciliare considerato illegittimo, in quanto operato presso locali adibiti anche ad abitazione e di pertinenza di soggetti terzi rispetto al diretto interessato all’ispezione, si riferisce soltanto a quelle prove per le quali l’accesso risulta preordinato, di cui si ritiene costituisca condizione necessaria, facendo salve quelle informazioni e quei riscontri probatori che trovano nell’accesso una mera occasione. Diretta conseguenza di tale asserzione è la piena legittimazione della raccolta e acquisizione di dichiarazioni di soggetti terzi, ancorché ciò si verifichi nel contesto di un accesso non autorizzato.
Nella pronuncia in commento la Cassazione, oltre a valorizzare l’accessorietà della acquisizione probatoria, rimarca ulteriormente la rilevanza della buona fede degli organi ispettivi che si siano trovati ad accedere in locali, rispetto ai quali difetti la prevista autorizzazione del magistrato competente: conclusione che non esitiamo a definire inaccettabile. L’accesso condizionato, tuttavia, viene proprio imposto ex lege, in ottemperanza di quella tutela costituzionale vigente ai sensi dell’art. 14 della Cost. che, com’è noto, sancisce l’inviolabilità del domicilio. Nella perfetta osservanza del dettato costituzionale, dovrebbe (per meglio dire, deve) essere negata la legittimità di ispezioni, perquisizioni e sequestri, eccezion fatta per le casistiche espressamente sancite dalla legge e soprattutto, secondo le garanzie prescritte per la tutela della liberta personale.
Nonostante l’autorevolezza della Suprema Corte, non ci si può esimere dall’esternare una palese “non condivisione” delle conclusioni raggiunte. In particolare, si rileverebbe una palese utilizzabilità di materiale probatorio acquisito evidentemente contra legem: violazione che si ritiene primaria rispetto all’accessorietà della sua acquisizione (tra l’altro neanche adeguatamente argomentata) e alla buona fede degli organi ispettivi che hanno comunque travalicato i limiti spaziali imposti ex lege. Lo hanno fatto in buona fede? Sicuramente si, ma si tratta comunque di un contegno contra legem.
Nel sistema che presiede all’accertamento dei tributi non trova espressa cittadinanza una sanzione di inutilizzabilità delle prove illecitamente acquisite, ove per prove illecite siano da intendere quelle prove formate, acquisite o assunte attraverso atti illegittimi o illeciti o comunque attraverso strumenti che determinano una violazione dei diritti fondamentali dell’individuo ed in ciò garantiti da norme costituzionali; tuttavia, si ritiene possa trovare applicazione la regolamentazione tipica della c.d. invalidità derivata, mutuabile dal procedimento amministrativo, secondo cui l’inutilizzabilità non abbisognerebbe di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando già da una regola generale di sistema, secondo cui l’assenza di un presupposto nel procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali tale procedimento si articola.
Non sussistendo, nel caso in commento, ipotesi di deroga ai principi testé espressi, non può che ribadirsi la conferma di non condivisibilità della statuizione della V^ Sezione, a meno che non si voglia negare valore alla barriera terminologica imposta dal citato art. 14 della Costituzione.